giovedì 29 settembre 2016

POST cerca collaboratori

POST è una trasmissione radiofonica che da Febbraio 2013 va in onda su Radio Flo, una web radio che ha la particolarità di contare con una serie di collaboratori (flokers) che trasmettono da diversi posti dell'Italia e del mondo. Nel 2014 Radio Flo ha vinto il bando dei Principi Attivi della Regione Puglia e da questa stagione, l'ottava della radio, oltre a trasmettere in streaming, all'indirizzo www.radioflo.it, le sue trasmissioni saranno trasmesse da Radio RNS 93.4 FM nel Salento Centrale.

La descrizione della trasmissione è questa:

POST non è semplicemente una trasmissione.
POST è un contenitore di musica d'avanguardia.
POST è uno spazio dove ascolterai brani che quasi mai hanno più di 10000 visualizzazioni su YouTube, e qualche volta neanche 1000.
POST è brillante come gli artisti che ne fanno parte.
POST s'impregna dello spirito ed essenza di RadioFlo: Libera radiofonia tra amici.
POST è per aprire le menti e dunque non è per teste chiuse.
POST è underground ma allo stesso tempo assolutamente cool.



Nelle 4 stagioni di POST c'è sempre stato spazio per gli artisti underground in prima persona, intervistando di anno in anno tanti musicisti che sono diventati dei veri e propri amici della trasmissione. Dai nostri microfoni sono passati artisti come Lili Refrain, Juggernaut, Sdang!, Stearica, Nero di Marte, Fall of Minerva, 2 Pingeons, As Light Dies, Pin-up Went Down, Smohalla, Minimanimalist, NID e tanti altri.

Un'altra caratteristica fondamentale è che oltre alla conduzione principale, affidata a Sebastian Gonzalez, c'è sempre stato spazio a collaboratori esterni che, grazie alla loro grande cultura musicale ed alla sintonia con la trasmissione, sono riusciti ad arricchire in modo significativo l'offerta musicale del programma. I collaboratori che abbiamo avuto in passato venivano dalla Svezia, dalla Spagna e da Brindisi.

Andando al dunque, per questa quinta stagione POST ha deciso di cercare nuovi collaboratori pubblicamente e non contattarli personalmente. Questo per permettere a tutte le persone interessate a sposare questo progetto di avvicinarsi a quest'avventura.
Ma cosa serve per collaborare e cosa offre POST? Vediamolo in dettaglio:

Quel che serve:

  • Una spiccata sintonia con la linea editoriale della trasmissione: in altre parole essere appassionato di musica underground ed avanguardista, senza che ci siano, però, distinzioni o preferenze di generi.
  • Una buona capacità dialettica e una minima predisposizione a parlare in radio: le collaborazioni si sviluppano in forma di pillole REGISTRATE di un paio di minuti che introducono un'artista da presentare al pubblico di POST.
  • L'impegno di fornire tempestivamente il contributo: la periodicità sarà definita in base alla quantità di richieste di collaborazioni che arriveranno ma è necessario che i contributi arrivino tempestivamente in modo di promuoverli correttamente.

 Cosa offre POST:


  • Uno spazio radiofonico libero: oltre alle definizioni editoriali prima delineate ogni collaboratore avrà carta bianca nel gestire il proprio spazio.
  • La diffusione del contributo: ogni collaboratore entrerà a far parte della squadra di POST ed attraverso i canali social della trasmissione e di Radio Flo saranno opportunamente nominati e ringraziati.
  • Un'ambiente famigliare e genuino: POST è fatto con passione, senza velleità e con la gioia di dar spazio alla musica e agli artisti che contano con pochi canali di diffusione.

Nota importante: La partecipazione alla trasmissione è gratuita e volontaria. Nessuno di POST o di Radio Flo percepisce un qualsiasi ritorno economico.



La quinta stagione di POST inizia l'11 Ottobre ed avete tempo fino al venerdì 7 per farvi arrivare le vostre proposte di collaborazione.

Come postulare a diventare collaboratore di POST :

Inviate una mail o un messaggio a changagonzalez@yahoo.com o alla pagina di POST su facebook: https://www.facebook.com/postradioflo/ raccontando chi siete, perché vi interessa collaborare con la trasmissione e di cosa vi piacerebbe parlare.
Se questo primo step ha un riscontro positivo vi chiederemmo di registrare una pillola pilota per capire le vostre capacità dialettiche.

Per qualsiasi altro chiarimento non esitate a scriverci!
La cosa fondamentale è la passione per la musica!
Speriamo ansiosi i vostri messaggi.
A presto!

mercoledì 28 settembre 2016

Negură Bunget - ZI: l'intelligenza ancestrale

(Recensione di ZI di Negură Bunget)


L'antropologia è una scienza affascinante perché permette la comprensione di usanze, tradizioni e simboli di certi popoli permettendoci di capire che c'è una radice profonda dalla quale possiamo imparare. Diciamo che siamo sempre sotto la lente dell'antropologia perché anche se c'è uno spirito globale continuiamo ad essere tanti piccoli popoli messi insieme.

Il disco del quale vi parlo quest'oggi ha una grande vocazione antropologica. E' un disco che racconta e ci trasmette parte dell'essenza di una popolazione affascinante, e lo fa con un'originalità ed intelligenza incredibile. Vi stiamo parlando di ZI, il nuovo disco dei rumeni Negură Bunget. Questo lavoro è la seconda tappa di una trilogia dedicata a raccontare la storia e le usanze della Transilvania. 
Questa terra, diventata celebre per il famoso romanzo di Bram Stoker, il Conte Dracula, in realtà ha molte altre sfumature che sono state coperte dall'immaginario vampiresco. Lo sforzo dei Negură Bunget è quello di far emergere tutto quello che è rimasto coperto.



Ci sono diversi modi che potevano essere percorsi per compiere quell'obbiettivo prefissato. Quello scelto da questa band rumena è da applausi. Lo è perché è una scelta di prendere, essenzialmente, due elementi nativi, cioè la lingua e la musica folkloristica. Per quanto riguarda la prima non è una novità. Si sa che i  Negură Bunget hanno sempre scelto di cantare nella loro propria lingua. Sicuramente in questo ZI la scelta è ancora più coerente. Sulla seconda parte, quella della musica folkloristica c'è la genialità di questo lavoro. Non è semplice pensare a mettere insieme il folk, il black metal, certi elementi progressive ed il dark ambient. Il risultato che in tanti casi sarebbe venuto fuori non è altro che quello di un disco di folk metal, invece nel caso della band c'è una follata di avanguardia incredibile che porta a creare da zero un nuovo genere. Il folk dialoga con tutti gli altri genere, crescendo e facendo crescere. Forse i Negură Bunget hanno il vantaggio che la musica tipica della Transilvania abbia delle sfumature di mistero e che riescono a ricreare degli scenari che combaciano perfettamente con il resto delle loro influenze musicali ma la loro capacità sta nel saper cosa pescare e come metterla insieme in questo ZI.

Quest'album è composto da sei tracce ed è da ringraziare che ci sia una personalità grandissima di ognuna perché sarebbe stato semplice cadere nella trappola di esagerare la formula fino allo svenimento. Invece il gruppo rumeno riesce a dosare perfettamente i diversi elementi musicali a seconda della canzone che ascoltiamo. In certi momenti è la parte folk ad essere patrona ma in altri lascia lo spazio alla parte metal trovando un collante perfetto. Non ci sono due tracce simili in quanto ad intenzione e resa rafforzando di più il fatto che ogni canzone parli di qualche aspetto della cultura transilvana. 



ZI è un disco oscuro, misterioso, ancestrale. E' un disco che sa di falò in mezzo alla foresta, di viaggi in mezzo alla nebbia, di racconti da ascoltare con un bicchiere di acquavite casalinghe. E' un disco di ombre create dalle fiamme del fuoco ma anche della luce che quello stesso fuoco ci regala per guardare, per qualche attimo, gli occhi di chi ci sta intorno. E la magia di tutto ciò è che il modo di raccontare queste storie sfrutta quest'unione di generi musicali riuscendo a riempire la dualità antico-moderno. Sono racconti che provengono da anni ed anni addietro raccontati con una freschezza non soltanto attuale ma anche futuristica. Assolutamente in linea con la tendenza attuale, tornare all'autentico e genuino per vivere meglio il futuro. 

La scelta di quale canzone consigliare è molto difficile perché il livello generale del disco è molto alto, ma ci provo.
La traccia che apre questo ZI, Tul-ni-ca-rind è una perfetta introduzione a quello che è il disco intero. E' una canzone camaleontica che parte quasi come un documento sonoro antropologico per poi mutare in una canzone metal intensa e sostenuta.
La seconda traccia che voglio proporvi è Gradina Stelelor. Anche in questo caso la parte folk e quella metal si passano la palla ma mescolandosi molto di più. Le due anime di questa canzone si rafforzano e si aiutano fino a ricreare un risultato bellissimo e sorprendente. E' un brano pieno di dinamica che svela la parte più black dei Negură Bunget.
Per finire scelgo l'ultima traccia, Marea Cea Mare. E' la canzone più lunga dell'album e forse, almeno strumentalmente, quella meno folk. I suoi undici minuti e passa sono ipnotici come la nebbia che gioca capricciosamente su quello che possiamo e non possiamo guardare. E' un viaggio lucido che non ci sembrerà d'aver vissuto. La chiusura perfetta dell'album. 



Bisogna ringraziare i Negură Bunget per la lezione che ci hanno regalato con questo ZI. Bisogna ringraziarli per averci portato alla luce una cultura affascinante. Bisogna ringraziarli per le atmosfere che sono riusciti a creare con questo disco. E bisogna ringraziarli, soprattutto, per la capacità di aver dato nascita a qualcosa di nuovo ed inedito, un sound che non è facile trovare in altri gruppi e che sa di intelligenza e sensibilità. ZI si aggiunge al mio personale elenco delle migliori uscite di questo 2016.

Voto 9/10
Negură Bunget - ZI
Lupus Lounge/Prophecy Productions
Uscita 30.09.2016

lunedì 26 settembre 2016

TesseracT - Errai: denudare fino a trovare l'anima

(Recensione di Errai dei TesseracT)


Quando si può affermare che un'opera è chiusa? Qual'è il punto che si deve raggiungere per sapere che non bisogna aggiungere alcuna modifica a quel che è stato fatto? E' giusto che una canzone rimanga sempre la stessa o bisogna darle, periodicamente, una nuova vita? Queste domande sicuramente appartengono a quella categoria di domande che non troveranno mai risposta definitiva. Il processo creativo che si conclude con la composizione di una canzone non è lo stesso per qualsiasi artista e le scuole di pensiero sono tante quanto diverse. C'è chi ama quello che viene fuori di getto. C'è, invece, chi ricerca fino alla fine la sfumatura che può migliorare una composizione.

Oggi vi parlo di un EP che sicuramente è una presa di posizione sui quesiti prima elencati. Si tratta del nuovo lavoro dei britannici TesseracT, un EP intitolato Errai che prende quattro canzoni dal loro ultimo disco, Polaris, dandoli una nuova interpretazione. Il primo paragone che mi viene da fare, per tipologia di reinterpretazione, è quello del EP Re-Traced dei Cynic. Anche in quel caso le tracce erano quattro e davano una nuova vita a delle canzoni presenti nell'album precedente, in quel caso quel meraviglioso Traced in Air.
Se faccio questo paragone non lo faccio per il numero di tracce o la modalità di lavoro, ma bensì per il risultato. Entrambi gli EP ci presentano queste quattro canzoni in versione soft spoglie della componente più forte delle composizioni originali. Qualcuno potrebbe urlare allo scandalo affermando che questo è uno sforzo che tende a cercar di accattivare un pubblico più vasto, ostico alle sonorità più spinte. Io credo che, sia nel caso dei Cynic che in quello dei TesseracT, non sia così. Se negli novanta la moda era quella dei dischi unplugged potremmo dire che nei duemila la nuova tendenza è quella di queste riletture. 



Errai è un EP che rimane abbastanza fedele alle versioni originali dei brani presenti. Lo sforzo che c'è dietro a questo lavoro è uno sforzo di distillazione, di prendere l'essenza del "prodotto" tralasciando l'insieme di elementi che lo avvolgevano. E' per quello che le quattro canzoni che conformano quest'insieme non si allontano affatto alle versioni di Polaris. Strutture, melodie ed armonie rimangono le stesse. Non è un lavoro esperimentale, non è un lavoro di rilettura. E', come dicevo anche prima, un lavoro di pulizia chirurgica che mette a nudo l'anima delle canzoni. Per quello non è giusto pensare che queste versioni siano "commerciali" o adatte per un pubblico maggiore come succedeva con i concerti acustici. L'acustico è adattare i brani a strumenti non elettrificati, invece questo disco conta con le stesse risorse, musicisti e strumenti del disco madre. Questo è il punto essenziale perché le vie di sviluppo erano tante ed i TesseracT hanno scelto forse la meno ovvia e semplice.

Il confronto è naturale. Pensare a come è ogni brano originale e metterlo in gioco con queste nuove versioni. Dal mio punto di vista è un errore perché superficialmente sembrerà che hanno perso molto, che dinamicamente sembrano più piatte e meno arrangiate, ma andando nel profondo si capisce che queste nuove letture non sono semplici e scontate. C'è molto più protagonismo della voce ma la base strumentale diventa un puzzle affascinante dove i diversi pezzi s'incastrano perfettamente per dare una coerenza d'insieme. Questo non è un disco tanto "suonato" ma è un disco perfettamente suonato. E' un lavoro che fa capire il valore del silenzio e di come, molto spesso, sa esprimere molto di più.



Il mio consiglio a livello di canzoni lo focalizzo su Tourniquet. Brano bellissimo già originalmente che prende più forza dalle piccole cose. La successione di parti esalta la voce con delle piacevolissime armonizzazioni ma permette anche di apprezzare al meglio le tastiere e il lavoro d'ambiente che svolgono. Chitarra, basso e batteria, invece, entrano quando devono e facendo il lavoro che devono fare, cioè quello di vivacizzare il brano dando molta dinamicità all'intera opera.



I TesseracT ci hanno regalato questa scommessa, perché per me lo è a tutti gli effetti. Errai è un EP che funziona perfettamente, che è piacevolissimo all'ascolto e che dura anche troppo poco. L'anima delle quattro tracce che lo compongono ci viene svelata senza artifici essendo lo stesso un lavoro complesso e molto ben fatto. La scommessa è vinta.


Voto 8,5/10
TesseracT - Errai
Kscope
Uscita 16.09.2016

venerdì 23 settembre 2016

Netherbird - The Grander Voyage: l'energia che ci muove

(Recensione di The Grander Voyage dei Netherbird)


L'energia è fondamentale. E' quello che ci muove e ci spinge a fare. Non solo, siamo relazionati tutti quanti attraverso l'energia. Scegliamo con chi stare o chi evitare asseconda dell'energia che ci trasmette o che ci consuma. L'energia è tutto e nella musica c'è chi esalta quest'idea.

Naturalmente l'energia ha bisogno di controllo, ha bisogno di momenti, di transizione, di crescendo e di pause. Il nuovo disco dei Netherbird da quell'idea. The Grander Voyage è molto energico anche quando diventa acustico e mid tempo. E' un disco che procede con una sicurezza grandissima su dei binari che portano questa band svedese alla meta voluta. Sembrerà un'ovvietà fare questo discorso ma non lo è. L'esperienza dimostra che tanti gruppi partono con i presupposti giusti ma si perdono strada facendo, invece questo disco dei Netherbird è di una grandissima coerenza che si apprezza dalla prima fino all'ultima canzone. 



Musicalmente possiamo catalogare questo gruppo come una band che passeggia senza problema tra il death metal melodico, genere più presente, il black metal e il doom. Insomma, una scuola musicale che ricorda tantissimo quella manciata d'anni a cavallo tra i 90 ed i primi 2000. La loro originalità sta nel riuscir a ricavarsi uno spazio tra questi tre generi facendo un discorso logico dove il concatenarsi di parti diverse formano un suono personale e riconoscibile.

Questo The Grander Voyage riprende una tematica molto ricorrente nei dischi che ho recensito ultimamente, cioè quella del viaggio, inteso come uno spostarsi non soltanto, o principalmente, all'esterno quanto dentro a noi stessi. In fondo la nostra vita è quello, un eterno viaggio dove l'importante non è il punto d'arrivo ma il percorso. Nel caso dei Netherbird questo viaggio è energico, è personale, è riflessivo. E' un punto di scontro tra quello che vogliamo essere e quello che gli altri vogliono per noi.



Ad accompagnare la voce grintosa, sempre in growl, ci pensa una base ritmica solidissima, dove spicca una batteria virtuosa e contundente, e tre chitarre che giocano con facilità tra i contrasti forte/piano, acustico/elettrico. Sono loro a colorare al meglio i paesaggi dipinti da ogni canzone di questo lavoro.

Questo viaggio si sviluppa in sette canzoni delle quali distacco Windwards, brano che parte con una grinta impressionante per poi evolversi in sonorità epiche che ricordano il buon Ihsahn e gli In Flames di  Colony. Un brano, dunque, con un sapore nostalgico me di effettività assoluta. Mentre lo si ascolta non è difficile immaginare il coro del pubblico ai ritornelli. 
Un'altra canzone che riesce a far capire fino in fondo lo sforzo musicale dei Netherbird è Pillars of the Sky. Lo è perché l'intro acustica, che ricorda il sound dei November Doom, aggiunge nuovi elementi all'insieme della band. E' un brano che si sviluppa diventando molto grintoso.



The Grander Voyage è un disco che riesce a catturare l'ascoltatore perché non perde mai il punto d'interesse e di forza. E' un album energico senza che per quello sia sempre potente. Ha delle sfumature molto piacevoli che illustrano perfettamente il concetto di viaggio. Molto piacevole.

Voto 7,5/10
Netherbird - The Grander Voyage
Black Lodge
Uscita 28.10.2016

mercoledì 21 settembre 2016

Lotus Thief - Gramarye: l'incantesimo di essere vivi

(Recensione di Gramarye delle Lotus Thief)


La musica è un riflesso della vita. Quindi da sempre i brani e gli sforzi compositivi hanno puntato a trasformare in melodia, armonia e ritmo la vita, in tutte le sue sfumature. Ci sono brani di una banalità imbarazzante che cercano di tradurre in note le emozioni ed i sentimenti e, per fortuna, ci sono tanti altri che sono dei veri e propri contenitori di cultura, di storia e di saggezza. Naturalmente ci sono anche tante altre sfumature ma quest'oggi parliamo di un lavoro tessuto con cura e complessità.

Il progetto Lotus Thief impersona tutta una serie di elementi che a me sono molto cari. Partiamo dalla parte musicale: l'intenzione di questa band di San Francisco è quella di creare un discorso musicale nuovo che metta insieme diversi elementi come il post black metal, lo space rock e l'ambient. Il lavoro vocale, che si basa nella sovrapposizione di due voci femminili, dona al gruppo un'unicità importante. Il risultato è una fantastica creatura nuova nella quale si riconoscono le tracce dei generi prima elencati ma che finiscono per definire qualcosa d'inedito.
Per quanto riguarda la parte delle parole lo sforzo della band è da applausi perché denota un lavoro di ricerca e d'interpretazione che finisce per regalarci un nuovo sguardo di tematiche molto antiche. Questo loro secondo album, Gramarye, è una dimostrazione perfetta.




La nuova vita che si può dare a certi argomenti ed a certi testi storici è lodabile, perché nei nostri tempi, che purtroppo dimostrano una sempre crescente ignoranza culturale, riuscir ad avvicinare l'ascoltatore alla scoperta di queste tematiche non è un'impresa semplice. Ebbene le Lotus Thief si danno il lusso di collegare una serie di libri storici appartenenti a diverse civiltà in diverse epoche in modo di unire tutto quanto con un argomento: quello delle diverse fedi. Spingendomi più in là posso dire che il collegamento viene fatto soprattutto prendendo la parte "magica" di queste fedi e di questi libri. Per quello il titolo del disco, Gramarye, significa, in inglese antico, il libro di stregoneria. Stregoneria che fa parte del Libro dei Morti degli antichi egizi, dell'Odissea di Omero, del medievale Merseburg Incatations o del contemporaneo The Book of Lies dell'occultista Aleister Crowley. Cioè un viaggio lungo più di 2000 anni che dimostra la perenne contingenza di certi argomenti. Politeismo, paganesimo ed occultismo, tre fedi sotterranee ma fondamentali quanto le altre per capire l'essere umano. 

A questo punto diventa fondamentale unire i due aspetti che abbiamo trattato per separato. Musica e testo si completano, si rafforzano e, cosa più importante, creano un messaggio inequivoco che è il messaggio delle Lotus Thief. La loro musica è spaziale quanto sono spaziali le dimensioni che sono presenti nei testi d'ispirazioni. Le voci sono dinamiche, accattivanti, misteriose e di grande personalità quanto può esserlo una strega o un incantesimo. La varietà dei generi che conformano la musica presente in questo Gramarye si coniugano perfettamente con la scelta temporale dei libri sopra citati. Insomma, la musica è un riflesso della parte testuale e viceversa.

A titolo personale posso aggiungere la mia felicità sentendo delle linee di basso molto presenti ed originali che si unisce perfettamente alle testure tese dalle chitarre, alla grinta della batteria, uno degli elementi più black, e il collante preciso delle tastiere. Gradisco molto l'intenzione sonora che regala alla band un sound moderno introducendo gli aspetti avanguardisti e progressivi della musica delle Lotus Thief.




A livello di consigli su le tracce da ascoltare vi propongo un paio.
La prima è Circe. Già dal titolo si capisce che stiamo dentro al contesto dell'Odissea di Omero, opera che ha influenzato tutta una serie di opere epiche. Ed invece qua non è così, o, piuttosto, l'epicità non è l'ingrediente principale ma è il mistero e la complessità di un personaggio come quella maga. Lo sviluppo della canzone è un capolavoro.
Il secondo brano che vi segnalo è Idisi. E' l'ultima canzone dell'album e forse non è un caso che la chiusura di questo lavoro sia stata riservata a questa figura mitologica che viene fuori dalla mitologia norrena e dal libro Incantesimi Merseburg. Questo è un brano che esalta la femminilità. E' profondo come lo sguardo di una donna. E' misterioso e bello contemporaneamente. E' una giuda ultraterrene che fa capire che il nostro tempo è scaduto e che qualcos'altro ci attende. Bellissima.



Date le premesse Gramarye è un disco che avrebbe potuto suonare oscuro, aggressivo e blasfemo. Invece, e qua sta la bellezza e il trionfo delle Lotus Thief, è un lavoro modernissimo, piacevolissimo, complesso ed accattivante che fugge da qualsiasi cliché possibile dando ancora più forza all'idea che c'è dietro. E' un disco stregato che non esalta l'immagine della strega, è un disco oscuro che non cade nella banalità, è un disco metal che regala al metal nuovi confini. E' uno sforzo d'intelligenza, di passione e di originalità e per quello rimane una delle uscite più interessanti di questo 2016. L'incantesimo ha funzionato.

Voto 9/10
Lotus Thief - Gramarye
Prophecy Productions
Uscita 23.09.2016


lunedì 19 settembre 2016

Urfaust - Empty Space Meditation: pronti ad affrontare l'ignoto dentro di noi?

(Recensione di Empty Space Meditation degli Urfaust)


Una delle leggi che sembra reggere il nostro mondo è quella dell'equilibrio. Per ogni cosa che esiste c'è il suo opposto. Più guardiamo in alto più il nostro sguardo ricade su noi stessi. Insomma, possiamo fare tutta una serie di divagazioni mentali per poi andare sempre a ricadere su quello che siamo noi stessi. Ogni viaggio è un viaggio rivolto all'interno.

Empty Space Meditation è un disco che ha un solo titolo che si ripete per tutte le canzoni: Meditatum. Indizio fondamentale e molto chiaro per capire che disco ci presentano gli olandesi degli Urfaust. Questo lavoro è assolutamente lo-fi ma non è una casualità, è una scelta stilistica azzeccatissima. Lo è perché incrementa maggiormente il messaggio che questo duo, che nasce nel black metal, cerca di farci arrivare. Effettivamente questo nuovo disco deve essere visto, ascoltato e vissuto come un rituale. Di meditazione, di osservazione del mondo e, di conseguenza, di osservazione di noi stessi come individui. Spesso si parla della caratteristica nichilista del metal più oscuro ma, credo, l'intelligenza sta nel saper usare questo egoismo passando da "fregarsene di tutto e di tutti" a "pensare ad essere migliori, più coerenti, disciplinati e coscienti". E questo lavoro lo permette. Sebbene l'abbiamo circoscritto a delle sonorità black in realtà c'è molto di più. Questo è un disco che a tratti diventi d'avanguardia ricordando in certe sfumature le intenzioni dei norvegesi Virus. E' un disco profondo, quando deve esserlo, e diretto. 



Ogni "Meditatum", cioè ogni traccia del lavoro, è doppiamente coerente. Lo è come creazione individuale proponendoci diversi tipi di viaggi; ma lo è anche come opera intera e chiusa. Perché il viaggio che ci viene proposto dagli Urfaust è un viaggio tra le ombre e tra i misteri. E' uno sguardo verso quello che non conosciamo, che è forse troppo grande ed importante per noi da impedirci la comprensione. Ebbene sì, è un disco che ci fa sentire piccoli, deboli, vuoti ed inutili ma la sua forza sta proprio lì, nell'aprirci gli occhi per affrontare tutto e non affondare. Questo è il viaggio mentale di Empty Space Meditation ed è molto ben riuscito.



Come avevo accennato prima ogni traccia ha la capacità di formulare un discorso proprio e per quello ogni "Meditatum" è diversa dalla precedente e da quella successiva. 
Meditatum I è ipnotica, è  la meditazione pura e dura, è il viaggio che ci permette di avere la mente pronta a quest'avventura unica.
Meditatum II inizia come una discesa negli abissi rischiando di farci impazzire ma proprio quando sembriamo persi è quando capiamo, quando si raggiunge la consapevolezza e guardiamo l'ignoto con altri occhi.
Meditatum III appartiene invece ad un'altra categoria. Se le prime due tracce brillavano di profondità questa qua è molto più diretta, è un carro armato che avanza incurante sulle nostre coscienze. 
Meditatum IV, invece, è una via di mezzo. E' un viaggio tra sofferenza, tra demoni che si nutrono di sofferenza portandoci a riflettere su quello che vediamo e sui nostri propri demoni che ci esigono la malvagità. 
Meditatum V torna al discorso diretto. E', forse, il brano più "semplice" a livello di arrangiamenti, armonia e ritmo ma funziona molto bene, è un traghetto che ci catapulta da una sponda all'altra. 
Meditatum VI chiude l'album in modo eccelso. E' un brano con chiare influenze orientali ed è da applaudire questa dinamicità degli Urfaust, capaci di comporre canzoni dirette ed allo stesso tempo, di dar nascita a brani come questo. E' una canzone cosmica, che ci fa pensare di stare dentro ad un caleidoscopio dove le immagini che vediamo progettate sono sia del cosmo che di noi stessi.



Empty Space Meditation è un disco molto ben riuscito. E' inquietante, ipnotico, aggressivo e misterioso. La sua dinamicità lo fa diventare assolutamente interessante perché invoglia l'ascoltatore a sapere di più. E' un lavoro pieno di mosse a sorpresa che progettano gli Urfaust a gruppo grandioso, di un'apertura mentale compositiva fondamentale perché scuote le acque dell'underground.

Voto 8,5/10
Urfaust - Empty Space Meditation
Ván Records
Uscita 28.10.2016

sabato 17 settembre 2016

King Dude - Sex: La Sensualità di un Poeta Maledetto

(Recensione di Sex di King Dude)


La sensualità e la musica camminano sempre mano nella mano. Si alimentano mutuamente e regalano spunti fondamentali. Molti musicisti hanno basato le loro proposte musicali nella sensualità e nella sessualità suscitando forti reazioni che più di qualche volta si sono tradotte in censura. Incurante delle reazioni che si possono ritrovare tanti musicisti continuano a dare le proprie letture della sensualità senza filtri.

Si capisce già dal titolo del disco, Sex, che questo nuovo lavoro di King Dude non ha paura di scandali, anzi li cerca toccando tematiche che, purtroppo, tuttora sono dei tabù. Nelle undici tracce che formano Sex si ritrovano spesso delle provocazioni alla chiesa e alla morale che diffonde come unica via possibile. Non ci vuole molto per scandalizzare, per essere rivoluzionario o blasfemo. In tanti lo hanno fatto in passato guadagnando minuti di visibilità globale e qua sta la prima grande particolarità di questo lavoro: sembra che King Dude non insegua per niente quella via. Il suo Sex è un disco onesto che si costruisce con sonorità rock e dark. La sua sensualità sta dentro alle ombre e non ha intenzione di farle vedere, semplicemente il suo è un invito ad entrare in queste ombre, farsi un giro ed uscire. Il suo messaggio non è un manifesto, non è una presa di posizione ma è una serie di racconti, di storie che confinano tra il sesso, il divertimento, l'ipocrisia, l'innocenza e l'amore. Eh sì, perché c'è anche spazio per l'amore.



Musicalmente parlando questo Sex è un disco che confina tra il rock alla Chris Isaak e l'oscura sensualità di artisti come Nick Cave, Danzig e, paragone che magari non piacerà a tutti, i Type O Negative. La voce è fondamentale. Non solo per la sua profondità ma perché più che mai è la guida fondamentale di questa passeggiata tra le ombre. Questo è un disco che sa di bar dimenticati poco prima del alba dove in mezzo alla nebbia del fumo delle sigarette ci si scopre anime perse che si ritrovano e si riconoscono. E' un disco che sa di alcool, di solitudine e di sforzi per riempire quel vuoto che spesso vanno male. Ma è anche un disco frenetico, di feste alternative, di esagerazione, di rivoluzione. Per certi versi è un disco che potrebbe associarsi perfettamente alla generazione beat. E' lisergico, anfetaminico ed estasiato. Ed è un disco in bianco e nero.

King Dude è un poeta maledetto. Un personaggio che sa che la notte è il suo regno, che le tonalità minori sono molto più interessanti della solarità di quelle maggiori e che ha voglia di raccontare il suo mondo senza troppi stratagemmi ma ricreando con la sua musica le atmosfere giuste per dare ancora più forza alle parole. In Sex non disdegna di regalare dei momenti molto diversi, qualcuno dove è festoso e caotico, altri di grande intimità ed altri ancora di sensualità tradotta in voce suadente e tappetti musicali ipnotici. Racconta storie ma in certi, pochi, momenti passa dalla terza alla prima persona del singolare.



Visto che vi ho parlato di tre momenti essenziali dentro alla sua musica cerco di consigliarvi una canzone per momento.
Per la sensualità oscura e maledetta il consiglio va a Who Taught You How to Love, brano che racconta la storia di un'innocente aspirante star di Hollywood.
Per la parte festiva anche se ci sono un paio di brani molto più frenetici e diretti il consiglio va a I Wanna Die at 69, classico esempio di un rock&roll carico di sensualità ed oscurità.
Invece il momento più intimo lo ritroviamo nell'ultima traccia, Shine Your Light, dove il pianoforte regala la profondità di un brano sentito.



Sex non deve spaventare o impressionare col suo titolo perché è un disco che prende tante sfumature e che finisce per essere un validissimo riflesso di quel che ognuno è. Un mix di voglia, desiderio, pentimento, di esaltazione e di intimità. E' un disco molto dinamico che regala brani molto diversi anche se uniti sempre da quell'insieme di sesso, sensualità ed amore. Oscuro, vellutato e divertente.

Voto 8/10
King Dude - Sex
Ván Records
Uscita 28.10.2016

mercoledì 14 settembre 2016

ZAUM - Eidolon: il miglior biglietto per un viaggio astrale

(Recensione di Eidolon degli ZAUM)


Ci sono tanti tipi di fame. C'è quella che denota la necessità di nutrimento. C'è quella esige la conoscenza perché vuole alimentare lo spirito e la mente. E poi, c'è la fame di creazione, d'invenzione, di far nascere qualcosa di nuovo e di inedito. Nel secolo scorso, un gruppo di poeti futuristi russi cercò d'inventare un nuovo linguaggio attraverso una serie di sperimenti chiamati zaum. La traduzione che viene data a questa parola è transmentale.

La fame dei canadesi ZAUM viene spiegata molto velocemente nel loro nome. La loro musica è un varco che porta a fare dei veri viaggi astrali e per farlo si affidano ad una serie di sonorità trasversali che raggruppano il doom e lo stoner con il rock psichedelico, la musica indiana e le atmosfere sciamaniche. E' proprio la creazione di questo nuovo linguaggio musicale la grande forza del loro nuovo disco chiamato Eidolon.



Il confine attraversato da questo duetto è molto chiaro. La loro intenzione è quella di stare a cavallo tra il reale e l'onirico. Cercano, con urgenza, la spiritualità di ogni essere esaltandola al meglio. Si narra che la band statunitense maudlin of the well scrivesse le proprie canzoni come risultato dei loro viaggi astrali. Non sarebbe strano pensare che i ZAUM facciano la stessa cosa. La loro musica non è soltanto astrale ma è anche mitologica. Si nutre di leggende di civiltà antiche, di divinità dimenticate e viene fatta con strutture lineari.

Infatti andando ad analizzare questo nuovo lavoro salta subito fuori che Eidolon è composto di solo due canzoni, entrambi di 20 minuti e passa. La monumentalità di queste canzoni è assolutamente giustificata dall'intenzione del gruppo, da quello che vogliono far arrivare. Il loro discorso musicale è così complesso che non può essere sviluppato in pochi minuti. E' assolutamente necessaria questa struttura che induce l'ascoltatore in uno stato di trance che lo porterà poi a attraversare il tempo e lo spazio a proprio piacimento. Non è una missione semplice. E lo è molto di meno pensando che gli ZAUM sono soltanto in due. Questa è la loro forza che permette di catapultargli in quel gruppo di band pazzesche, capaci di meraviglie impensabili. La dinamicità di Kyle Alexander McDonald è la chiave di questa buona riuscita. E' sua la voce, il basso, il sitar ed i synths. Questo gioco di strumenti che ricevono la base fondamentale del batterista Christopher Lewis, sono quel filo sottile che lega la nostra anima a spasso al nostro corpo. E' grazie a la loro progressione che ci ritroviamo catapultati in questi mondi senza tempo e con regole così diverse da quelle che ci governano. I synths ricreano le atmosfere, il basso da la concretezza e la sicurezza ed il sitar è quel fuoco fatuo che ci guida. Quattro strumenti ed un voce per due individui. Un trionfo.



Eidolon si apre con Influence of the Magi, brano pieno di magia che cresce gradualmente avvicinandoci all'immaginario sciamanico. E' un brano dove le tracce di doom ricordano grandi gruppi di questo genere e ci riportano alla mente i già citati maudlin of the well e i loro fratelli dei Kayo Dot vecchia scuola. E' psichedelico, meditativo, astrale e profondo.
The Enlightenment, invece è molto più esotico, orienteggiante e concreto. E' un mantra ipnotico sopra al quale si sovrappongono colori e sfumature.



Gli ZAUM rappresentano quella parte di gruppi affamati d'innovazione che riescono a centrare il bersaglio. Eidolon è uno dei lavori più interessanti che questo 2016 ha sfornato. E' un disco che ricorda il filone psichedelico degli anni 70 ringiovanito e riletto con una freschezza notevole. E' un disco spaziale, inquietante a tratti, che merita un ascolto concentrato perché sa restituire, e il viaggio che vi farete ascoltandolo non sarà per niente male.

Voto 9/10
ZAUM - Eidolon 
I Hate Records
Uscita 24.10.2016

lunedì 12 settembre 2016

Khemmis - Hunted: il conflitto dell'innovazione

(Recensione di Hunted di Khemmis)


C'è chi afferma che la mescola è sempre la migliore alternativa. Che essere dei puristi dimostra uno stato mentale limitato e chiuso che non lascia spazio alla novità ed alla crescita. Spesso dal mettere insieme diversi stili musicali si è arrivati a creare nuovi generi assolutamente nuovi. Fermare l'evoluzione della musica è impossibile e sarebbe un errore.

Tutte queste premesse fanno fate perché il disco del quale vi parlo quest'oggi, che recensisco con grande anticipo visto che l'uscita è programmata per metà d'ottobre, è un disco che difficilmente sarebbe esistito anni fa. Gli statunitensi dei Khemmis partono dalle sonorità doom che si mescolano con lo stoner e già questo punto farebbe storcere il naso a qualche purista. Entrambi i generi hanno dei punti in comune, soprattutto i power chords cupi e trascinanti delle chitarre, ma sono anche molto diversi. Se pensate che questa è l'unica "contaminazione" presente in Hunted vi sbagliate. Le armonizzazioni delle chitarre si rifanno alla tradizione maideniana e la voce spazia senza difficoltà tra due registri tanto diversi come quello del cantante heavy metal e quello del sludge. Un bel calderone da analizzare.



Hunted è un disco che sorprende perché, a primo impatto, da l'idea di essere il lavoro di un gruppo che prende con piacere l'eredità del heavy metal più classico al quale aggiunge la cattiveria delle chitarre doom. Andando avanti con l'ascolto, però, le carte vengono ribaltate e i Khemmis passano a essere un gruppo che naviga tra le acque del doom, lo stoner e lo sludge pescando ogni tanto le risorse di quel heavy old school. Un mix strano ed inedito, anche su tutti questi generi sono adunati da un origine comune. E' difficile, per me, dire se il risultato è molto positivo o meno. Lo è perché apprezzo molto il coraggio della band nel proporre qualcosa di nuovo, coraggio che da sempre ricerco con ansia nella musica, ma nutre in me qualche dubbio su quelle che possono sembrare delle incompatibilità tra i diversi generi riuniti. Lo sludge ha la modernità di rinunciare ai virtuosismi chitarristici, invece in questo Hunted ce ne sono tanti. Infatti è la chitarra, o le chitarre, a prendersi gran parte del protagonismo giocando con questa dualità conflittuale. La voce è lo specchio di questa caratteristica e quei due registri così diversi, voce pulita e squillante e growl profondo e cattivo, accentuano ulteriormente lo scontro/incontro di questi due mondi.



I Khemmis sconvolgono perché la loro intenzione musicale non lascia indifferenti. Osano tanto rischiando parecchio ma riescono a trovare un punto d'unione tra i quattro generi principali che costruiscono la loro musica. Sono abili ad individuare gli aspetti comuni ed a coniugarli molto bene, aggiungendo, poi, altri elementi che incrementano il conflitto tra similitudini e differenze. 

Il miglior esempio è la title track. Hunted chiude il disco con 13 minuti e 30 epici, moderni e, allo stesso tempo, nostalgici. Ritmicamente è un brano moderno, trascinante quanto è trascinante lo sludge. L'aggiunta delle chitarre armonizzate è sorprendente ed esplosivo.



L'impressione che mi viene è che con Hunted i Khemmis riusciranno a prendersi una grande fetta di ascoltatori del metal perché saranno in tanti a valorizzare i diversi aspetti presenti in questo lavoro. Un disco che piacerà a chi ricerca ritmiche trascinanti di chitarre profonde ma anche a chi ama le armonizzazioni di chitarra e gli assoli stile Iron Maiden.
Anche questo è evoluzione. E va celebrato. 

Voto 7,5/10
Khemmis - Hunted
20 Bucks Spin
Uscita 21.10.2016


venerdì 9 settembre 2016

Devin Townsend Project - Trascendence: l'equilibrio perfetto

(Recensione di Trascendence di Devin Townsend Project)


Possiamo essere le persone più avventurose del mondo. Possiamo essere degli individui in costante ricerca di novità e di sorprese ma è indubbio che sempre, per un certe cose abbiamo bisogno di sicurezza. Sapere che certe cose ci saranno sempre ci fa sentire bene, tranquilli, in pace. 

Devin Townsend è sinonimo di sicurezza. Può piacere molto o poco ma è una certezza. E' impossibile trovare un suo qualsiasi lavoro scadente, pigro, strano o inascoltabili. Mica facile. Anche i mostri sacri della musica hanno avuto, chi più chi meno, delle cadute di stile o dei momenti di smarrimento mascherati di voglia di cambiare. Nello stesso tempo il caso di Townsend è molto interessante perché non si può affermare, per nulla, che la sua carriera, nelle sue più svariate versioni, sia stata piatta ed omogenea. Ha sempre regalato delle sfumature che coloravano di luce diversa ognuno dei suoi lavori. La sua forza sta nell'essere unico, nell'avere un'impronta così inequivocabile da riconoscerla in ogni nota da lui cantata o suonata. E' quel mix di virtuosismo, di progressivismo e,  soprattutto, di energia.
Trascendence è una nuova conferma di tutto ciò.



Per chi conosce la vita di Townsend è molto chiaro che la sua musica è il riflesso della sua vita. Seguire le sue vicissitudini è trovarsi con un personaggio geniale dove la genialità cammina mano nella mano con la pazzia. La sua capacità musicale che lo porta ad essere un polistrumentista e a scrivere senza alcun problema un brano dopo l'altro è anche il riflesso di quello che è. Per quello nella sua carriera si ritrovano tanti dischi diversi. Certi così energici da sembrare anfetamina, altri, in sensibile minor quantità, profondo e riflessivi, un esempio su tutti: lo splendido Ki del 2009. Questo nuovo lavoro è un punto di equilibrio, né troppo energetico da non riuscir a stare al passo, né troppo riflessivo da diventare intimo.

Trascendence, che è il settimo album di studio sotto denominazione Devin Townsend Project, regala 64 minuti piacevolissimi durante i quali la musica scorre senza forzature abbracciando il ventaglio di elementi musicali che definiscono la personalità del musicista canadese. La domanda è: siamo di fronte ad un momento di pace e serenità di Townsend? Non sappiamo qual'è la risposta ma è piacevolissimo affrontare l'ascolto di questo disco che sembra cogliere gli aspetti migliori della carriera di Townsend. E' un disco energico senza essere frenetico. E' un disco che regala momenti di grandi arrangiamenti sinfonici ma che a tratti è asciutto e basico come una chitarra acustica che accompagna la voce. E' un disco maturo. E' abbastanza rock essendo sempre sufficientemente metal. E' orecchiabile quanto basta essendo anche ricercato. E' spaziale, come piace allo stesso Townsend, ma suona anche molto terrene. E' meno circense di tante creazioni del passato del canadese ma non è neanche intimo come qualche suo lavoro. Parla di sé senza usare la prima persona del singolare. Insomma, racconta molto di quello che, oggi, Devin Townsend è.



Questo nuovo disco rafforza tutti i concetti noti della personalità del genio canadese e da maggiore forza a questo progetto che si afferma come un gruppo solidissimo ed in piena sintonia col frontman. Non è sorprendente, dunque, che Anneke van Giersbergen sia stata nuovamente chiamata come voce femminile e che i suoi contributi siano pienamente in linea con le intenzioni musicali di questo Trascendence. Infatti la maturità che mi sembra di scovare nella mente del disco è anche espandibile a tutta la band che funziona sia come estensione del mentore, sia come una creatura indipendente ed abbastanza grande da avanzare senza fare errori. Si suol dire che il troppo storpia ma nel caso di questo disco quel "troppo" è ragionato molto bene, la varietà che conosciamo tanto bene dentro della musica di Townsend è distribuita notevolmente riuscendo ad avere lo spazio giusto nel momento giusto.



Come nel caso di altri dischi che ho recensito non è semplice consigliare pochi brani perché l'intero lavoro merita un attento ascolto ma ci provo.
Failure è un bel riflesso di tutto quello che ho descritto. E' un brano che mette alla luce il virtuosismo della band senza farne, però, un esercizio didattico. E' un brano trascinante, epico ed ipnotico. Bellissimo.
From the Heart rappresenta la maturità. E' un brano felice che trasuda quel stato d'animo.

Trascendence è un punto alto nella carriera di Devin Townsend perché rappresenta il perfetto compendio di quello che la sua personalità artistica. E' un disco senza esagerazioni ne esaltazioni e conferma quella sensazione di sicurezza. La sicurezza di sapere che Townsend è sempre pronto a regalare nuove canzoni che sembrano facili e che entrano nel nostro immaginario senza resistenze ma che, in realtà, sono piene di sfumature complesse figlie di una mente brillante. Ottima prova.

Voto 8,5/10
Devin Townsend Project - Trascendence
HevyDevy Records
Uscita 09.09.2016